Ma quale iconoclastia? L’Isis, le opere d’arte e il denaro
L'ISIS colpisce ancora. Questa volta al Museo Archeologico di Mosul. Vi abbiamo fatto vedere il video in cui alcuni miliziani distruggono sculture e opere con mazze e martelli pneumatici. Ma tutto questo c'entra con l'iconoclastia? Assolutamente no...


La fila all’ingresso della mostra di arte degenerata
E questo ci porta al secondo punto: l’iconoclastia c’entra poco o niente. Probabilmente ci crederanno gli utili idioti armati di mazze in azione a Mosul, ma non c’è nulla di dottrinario in questi atti. Tant’è che lo stesso Mullah Omar, per tornare ai Buddha di Bamiyan, non ha mai “giustificato” quegli atti con argomenti teologici.
Perché dunque realizzare un video del genere, peraltro assai più scadente dal punto di vista cinematografico rispetto a diversi omologhi precedenti? Per proseguire su quella china di provocazione che deve essere continuamente alimentata e variegata. Le decapitazioni non scioccano più? Allora facciamo sparare agli ostaggi da un dodicenne. Assuefatti? Li bruciamo vivi. E via dicendo. E poiché una buona fetta degli “occidentali” ci tiene di più al proprio gattino che al clochard che muore di freddo per strada, va da sé che una capatina ogni tanto nei territori del simbolico va fatta. E allora giù con le opere-nei-musei.

La distruzione dei Buddha di Bamiyan
Infine, un quarto e ultimo punto. L’enorme valore simbolico che dalle nostre parti attribuiamo all’arte ha un suo pendant non trascurabile dal punto di vista economico. Insomma, quella roba vale parecchio, e c’è un fiorente mercato sotterraneo che ne è interessato. Ora, senza voler fare alcuna dietrologia, vi invitiamo a riguardare con attenzione il video postato dall’ISIS. Qualcosa non torna in diversi casi, con sculture imponenti buttate a terra con un minimo sforzo e che si sfracellano nel momento in cui toccano il suolo, mentre per scalfire altre sono necessarie mazze enormi. Nel primo caso si tratta di copie in gesso? Così sostengono alla commissione nazionale per il patrimonio (lo riporta Sponda Sud). E non stupirebbe affatto che alcuni manufatti originali stiano già viaggiando in direzione di altri lidi. Perché le guerre si fanno sempre per ragioni economiche: il petrolio, certamente, ma anche far arrotondare qualche “corpo intermedio” con il patrimonio dell’umanità conservato in un museo, male non fa.
Torniamo così al nazismo: quelle che bruciavano in piazza erano opere d’arte, certo, ma quelle “migliori” stavano nei caveau e venivano monetizzate. E visto che parliamo di Iraq: ricordate dove furono ritrovate molte delle opere sparite durante la seconda Guerra del Golfo? Certe portaerei avevano la linea di galleggiamento più bassa di cinque centimetri…
Marco Enrico Giacomelli
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati